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Impresa Familiare e convivente di fatto

Il convivente di fatto entra di diritto nell'impresa di Famiglia


A seguito della Storica sentenza della corte costituzionale n. 148 del 4 Luglio 2024 il convivente di fatto entra di diritto nelle tutele dell'impresa familiare e lo fa dalla porta principale, ovvero quella prevista per i familiari di cui all'art. 230 bis co. 3.


Viene quindi abrogato l'art. 230 ter previsto proprio fino ad oggi per tutele minori del convivente di fatto.


Vediamo nel dettaglio la disciplina.


In forza della previsione di cui all’art. 230-bis cod. civ., il familiare che presta la propria attività di lavoro, in modo continuativo nella famiglia o nell’impresa familiare, cioè a favore di un imprenditore a lui legato, ai sensi del comma terzo, da vincolo di coniugio, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo, gode di una complessiva posizione partecipativa che consta sia di diritti patrimoniali che di diritti amministrativo-gestori.


Dirtti del familiare:


Sotto il profilo economico, il familiare ha innanzitutto diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e, in caso di buon andamento dell’attività d’impresa, ha diritto ad una quota di utili e di incrementi, anche in ordine all’avviamento, proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, e partecipa, sempre in detta proporzione, ai beni acquistati con gli utili.

Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi, nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate a maggioranza, così garantendo al familiare un trattamento diverso rispetto a quello normalmente riservato ad un lavoratore subordinato in ragione del particolare vincolo di solidarietà familiare che lega i partecipanti all’impresa.


Leggi pure:


Cosa è l'impresa familiare


 Secondo il diritto vivente l’impresa familiare non costituisce una modalità di gestione collettiva dell’impresa, bensì una forma di collaborazione all’interno di essa e la norma di cui all’art. 230-bis cod. civ. disciplina unicamente il rapporto che si instaura tra soggetti – il familiare (o i familiari) e l’imprenditore – per effetto dello svolgimento della prestazione di lavoro, senza con ciò interferire sulla imputazione dell’attività d’impresa, di cui resta titolare l’imprenditore che è l’unico soggetto ad agire sul piano dei rapporti esterni, assumendo il rischio inerente all’esercizio dell’impresa; il diritto del singolo prestatore di lavoro non è condizionato dall’analogo diritto che spetta agli altri familiari, in quanto esso è commisurato alla qualità e quantità del lavoro prestato (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 gennaio 2005, n. 874).



Secondo il diritto vivente l’impresa familiare non costituisce una modalità di gestione collettiva dell’impresa, bensì una forma di collaborazione all’interno di essa e la norma di cui all’art. 230-bis cod. civ. disciplina unicamente il rapporto che si instaura tra soggetti – il familiare (o i familiari) e l’imprenditore – per effetto dello svolgimento della prestazione di lavoro, senza con ciò interferire sulla imputazione dell’attività d’impresa, di cui resta titolare l’imprenditore che è l’unico soggetto ad agire sul piano dei rapporti esterni, assumendo il rischio inerente all’esercizio dell’impresa; il diritto del singolo prestatore di lavoro non è condizionato dall’analogo diritto che spetta agli altri familiari, in quanto esso è commisurato alla qualità e quantità del lavoro prestato (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 gennaio 2005, n. 874).


Questa l'impresa familiare

ora scendiamo nel dettaglio della casistica:


Dopo un iniziale contrasto, la giurisprudenza di legittimità si è consolidata nel configurare l’impresa familiare solo qualora il titolare dell’impresa sia un imprenditore individuale, escludendo quindi nell’ambito dell’impresa gestita in forma societaria (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 6 novembre 2014, n. 23676).


Il nuoco concetto di famiglia: Unione civile e Convivenza di fatto


Ai sensi della legge n. 76 del 2016 esistono due modelli distinti: il primo, quello dell’unione civile, riservato alle coppie formate da persone dello stesso sesso; il secondo, quello della convivenza di fatto, è aperto a tutte le coppie, eterosessuali e omosessuali.



Impresa Familiare e convivente di fatto
Impresa Familiare e convivente di fatto


Quanto al secondo modello (la convivenza di fatto), la legge n. 76 del 2016 abbandona la rigida alternativa tra tutela, o no, parametrata a quella riservata alla famiglia fondata sul matrimonio e valorizza l’esigenza di speciale regolamentazione dei singoli rapporti, siano essi quelli che vedono coinvolti i conviventi tra di loro, ovvero quelli tra genitori e figli o che si sviluppano con i terzi.



Conviventi di fatto ed Impresa

sono quindi «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, da matrimonio o da un’unione civile». La convivenza di fatto implica un “legame affettivo di coppia”; quindi non vi rientra la convivenza, ancorché stabile, che sia meramente amicale, di sostegno o di compagnia.


La dichiarazione anagrafica crea una presunzione di stabilità del vincolo affettivo di coppia e agevola, sul piano probatorio, il riconoscimento dei diritti in favore dei conviventi di fatto.

La dichiarazione non può esser fatta da persone «vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile», così come gli stessi rapporti sono di impedimento a contrarre matrimonio (artt. 86 e 87 cod. civ.).


L'approdo della Corte Costituzionale del 4 Luglio 2024 va operata inserendo il convivente di fatto dell’imprenditore nell’elenco dei soggetti legittimati a partecipare all’impresa familiare di cui al terzo comma dell’art. 230-bis cod. civ.,


e quindi prevedendo come impresa familiare quella cui collabora anche «il convivente di fatto».

Ai conviventi di fatto, intendendosi come tali «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale» (art. 1, comma 36, della legge n. 76 del 2016),


vanno dunque riconosciute le stesse prerogative patrimoniali e partecipative del coniuge e della persona unita civilmente all’imprenditore.

Legale Impresa



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